E' difficile, forse impossibile,
separare il film "Il Postino" dall'immagine indissolubile di un Massimo
Troisi malato e stanco, tanto caparbio da sfidare la propria precaria
salute per terminare le riprese di quello che per molti è considerato il
testamento spirituale del grande attore e regista napoletano (di San
Giorgio a Cremano), spirato poche ore dopo aver girato l'ultima scena
del film.
Nonostante solamente nella versione italiana figurasse il nome di Troisi accanto a quello del regista Michael Radford,
per tutti il postino è universalmente riconosciuto come il suo
capolavoro, un film, senza nulla togliere alle tante belle pellicole
girate in precedenza, in cui raggiunse l'apice della carriera ed una
notorietà internazionale sotto certi aspetti inattesa. La mimica, i
silenzi, le indecisioni nelle parole e nei movimenti del Troisi comico
trovarono in una interpretazione drammatica così profonda il proprio
naturale complimento.
Il
postino è un inno alla forza della poesia, al potere delle parole in
grado di elevare personaggi a prima vista insignificanti a ruoli del
tutto inattesi. L'amicizia che lega Pablo Neruda a Mario Ruoppolo è
sincera e mossa dalla tenerezza che ispira il giovane squattrinato
postino, fra i pochi in grado di leggere e scrivere in un'isola più
lontana dalla terraferma della realtà, ancora legata a un mondo antico
di pescatori destinato in pochi anni a sparire del tutto. L'ansia di
apprendere nuove parole e nuovi componimenti è il vero anelito alla
cultura ed alla elevazione sociale attraverso la conoscenza cui tutti
dovrebbero aspirare. Se Neruda quasi inconsciamente sconvolgerà la vita
del postino, quest'ultimo manterrà nei confronti del grande poeta un
sentimento di riconoscenza quasi filiare, conscio del fatto di essere
stato cambiato in profondità dall'esule cileno e di aver trovato non
solo il coraggio ma anche i mezzi per conquistare la ragazza più bella e
di buoni sentimenti del paese, grazie a quanto appreso nei sempre più
lunghi momenti passati a dialogare di metafore con lui.
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